Cuenca/Lauro
ZugZwang
di e con:
Elisabetta Lauro e Gennaro Andrea Lauro
musica:
Amedeo Monda
luci:
Tea Primiterra
prodotto da:
Cuenca/Lauro and Cie Meta
coprodotto da:
Associazione Sosta Palmizi
sostenuto da:
Ménagerie de Verre, CND Pantin, 104 Paris, Invito alla Danza Barletta
in collaborazione con:
Teatro Akropolis, Teatro Pubblico Pugliese – Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura e Comune di San Vito dei Normanni e TEX – Il Teatro dell’ExFadda”.
progetto vincitore
ResiDance XL
"Chi tenta di interpretare il mondo come un enigma è mosso da un istinto serio, ferreo, profondo, violento, quasi per il presentimento che in fondo alle cose vi sia un filo conduttore, scoperto il quale sia possibile tracciare il disegno per uscire dal labirinto della vita; e insieme da un istinto giocoso, lieve, avido di imprevisto, dall’ebbrezza di chi toglie con meditata lentezza i veli dell’ignoto” Giorgio Colli - Filosofia dell’espressione
Nel gioco degli scacchi Zugzwang indica il momento in cui si è obbligati a fare una mossa, nonostante ci si senta impossibilitati a farlo, poiché si sa che, muovendo, qualcosa andrà sicuramente perduto, se non addirittura tutto.
E allora cosa muovere, e soprattutto come muovere? Fin a che punto il movimento è uno slancio vitale e quando diventa una fuga o uno stallo?
Per evitare lo stallo occorrerà comunque rinunciare a qualcosa, ma per rinunciare a qualcosa occorrerà sapere a cosa rinunciare. Il valore di una pedina è però legato ai pezzi già perduti e a quelli rimanenti, quanti e quali sono, e in quale dei due campi sono.
Occorrerà quindi rivolgersi alla memoria, poiché è nella memoria che gli elementi trovano il loro valore attuale e che il gioco prende realtà. La memoria non è allora una semplice facoltà in nostro possesso, ma è piuttosto il tessuto della realtà in cui ci muoviamo. Essa determina chi siamo, cosa abbiamo, dove siamo e dove possiamo andare. È la memoria a costituire la realtà.
Quella che un tempo era un’ombra è ora un ramo, è quel preciso ramo. Di esso dico che è un ramo, poiché mi ricorda quell’altro ramo che ho visto una volta, e non un’altra cosa. È così che posso dire di quell’ombra che è qualcosa, poiché alcunché di simile è esistito prima di lei. Essa non è sola e perciò può essere conosciuta.
Le pedine non sono mai sole. Prese isolatamente esse non hanno valore. È nell’intreccio di relazioni che esse prendono senso e possono muoversi.
E così per noi. Anche quando crediamo di non farlo, di fatto noi pensiamo di essere qualcosa di conchiuso e che quel che siamo stia qui dentro, al di qua della pelle e degli occhi; che questo ‘io’ sia un punto focale fisso su cui si attorcigliano le mie azioni.
Ma è nella trama del gioco che prende vita il giocatore, non prima né dopo. Senza la trama non vi è gioco né il giocatore potrebbe muovere alcunché. Tornare alla trama significa tornare al mondo come relazione, senza cui nessun movimento è possibile. È nell’infiltrazione che ha luogo la relazione, non nell’affrontamento.
Questo corpo non è un oggetto, ma una direzione. Questa pelle e questi occhi che pensavo fossero rifugio e confine, postazione di guardia da cui poter scrutare il mondo, sono invece snodi o incroci di impressioni tattili, di sensazioni visive: porosità, sfioramenti, aperture, bagliori. Ed è in questi incroci, sulla punta delle nostre dita e nel nostro sguardo, che noi viviamo, continuamente protesi ad altro.
Pare forse una gran perdita rinunciare al possesso esclusivo di noi stessi. Eppure è così che non si è soli.
Le onde del mare si conoscono infiltrandosi e penetrandosi l’un l’altra nel profondo: la loro relazione non è un occasionale toccarsi nell’aria, allorché risaltano, emergendo dalla superficie marina. È nel mare che da sempre sono congiunte. Eppure le chiamiamo onde e non mare, e di ciascuna diciamo che è una e non l’altra.
***
Due esseri, fratello e sorella, tentano un incontro ‘marino’. Conoscere davvero ciò che si conosce già è un labirinto di passi, ricco di ostacoli, povero di oasi. Occorrerà farsi onde, sfumare le solidità precostituite, accogliere le porosità e accettare anche di non essere.
Ma l’orizzonte ha il colore del mattino.